Muerte de amor

UN PO’ DI COSE RANDOM

  1. Rodrigo e y Gabirela sono un duo di chitarristi messicani che combinano riff furiosamente veloci e ritmi abbaglianti per creare uno stile che si ispira sia alla chitarra flamenca che all'heavy metal.

  2. l Flamenco nelle sfilate 

  3. Il flamenco nelle collezioni di moda

  4. La metamorfosi nel lavoro interessantissimo di Andreas Senoner

  5. Qui si parla del rapporto mutualistico della natura con Valeria Margherita Mosca antropologa e insegnate di Foraging 

  6. Qui una riflessione di Maura Giangitano sull’identità.

 

Ogni anno il Piccolo Teatro di Milano tiene un Festival di Flamenco. Ne sono venuta a conoscenza solo un paio di settimane fa benché si svolgesse da ben 17 anni, meglio tardi che mai. Così sono andata a vedere uno spettacolo.
Avevo già visto degli spettacoli di Flamenco ma sempre in contesti urbani, sulla strada o nelle balere spagnole, mai a teatro. È stato molto emozionante e mi ha ricordato la regalità dell’opera lirica. 

Metamorfosis era il tema conduttore di questa edizione e comprendeva 3 prime nazionali dalla profonda riflessione sulla necessità di cambiamento. Non una metamorfosi kafkiana che si traduce in una deformazione fisica ma una mutazione dell’anima, un dialogo complesso tra individuo e collettività.

Lo spettacolo che ho visto si intitola Muerta de amor di Manuel Liñán, artista amatissimo per il genio coreografo e interpretativo. 
Il flamenco di Liñan, non è il classico della tradizione andalusa, a lui piace mischiare i ruoli e le movenze e si lascia influenzare dalla danza moderna e la teatro danza (di cui vi ho parlato nella news letter N.03). Il flamenco però sono le fondamenta dove Liñan costruisce il tessuto emotivo e conduce la passione con il vigore di ticchettii di piedi e mani. 

Le luci si spengono e si sentono dei sospiri ritmici, famelici che si ripetono.
Il sipario si apre e sul palco ci sono 7 ballerini vestiti di nero, ognuno con un abito diverso. C’è anche una cantante vestita a lutto, il vestito nero la inghiotte tra le sue frange lunghe e fitte e sulla testa porta una pettinatura alta e austera. La stanza in cui si trovano è rossa e ha una porta sulla sinistra. Sulla destra di questa stanza, che è decentrata rispetto al pubblico, ci sono cinque musicisti. La cantante inizia un canto straziante, potente, rauco come solo la musica flamenca sa interpretare e da quel canto inizia il viaggio.
La stanza rossa è un cuore pulsante dove i respiri sono battiti che accompagnano la voce e aiutano le percussioni a tenere il ritmo. 
In questo cuore le emozioni sono corpi fluidi che ballano perdendo completamente il senso di appartenenza ad un genere. Maschile e femminile si fondono creando qualcosa di totalmente nuovo che gioca con i rigidi binari di ciò che ci impone il pensiero tradizionale. 
L’individuo è un essere mutevole che attraverso il dialogo con gli altri e l’amore trova un senso al sé divenendo un essere unico e collettivo.

I copri sono potenti e delicati, i vestiti cambiano, spuntano parrucche, gonne.
Gli individui rispondono ad un rapporto mutualistico, si dà e si riceve in egual misura e l’energia scorre con impeto. 
Liñan ci dice che la comunione delle anime risiede nella perdita di ruoli sociali di genere prestabiliti. Non importa se a ballare è un uomo o una donna, la coreografia non risponde ai codici che impone la società ma viaggia su una linea fluida dove ciò che conta è il cuore, ovvero il luogo dove risiedono le emozioni.

È stato interessante vedere rappresentato ciò che in natura non viene neppure messo in discussione. Alcune specie di animali cambiano il loro genere a seconda del bisogno biologico o dello stimolo ambientale, innumerevoli altre si accoppiano con partner dello stesso sesso e la gerarchia all’interno dei gruppi
(o branchi) è formata da coppie di genere opposto, non da singoli. Il genere è qualcosa di subalterno che gioca un ruolo fondamentale solo dal punto di vista biologico e non sociale.  

Se analizziamo la trasformazione all’interno del contesto fiabe, l’archetipo rappresentato è quello della mutazione del sé.  Un lutto o un torto trasformano il cuore e nel contempo l’aspetto del protagonista. Il tormento può essere curato solo attraverso l’amore che permetterà il ritorno alla forma primaria. 
Ho appena letto un libro che pesca a piene mani da questo tipo di schema ma ci fornisce una visione più moderna e libera di quella delle favole della tradizione. “la sirena di Black counch” dove la metamorfosi avviene per via di una maledizione che le donne di un villaggio dell’isola a forma di pesce lanciano alla giovane e bella Aykaya, una loro compaesana la quale si trasforma in sirena obbligata a errare sola nelle profonde acque dell’oceano. Dopo 1000 anni di esilio la sirena viene attratta dal canto di un pescatore e i due si innamorano.
La sirena viene pescata da un gruppo di yenkiee rozzi e poco interessati alle leggende dell’isola in cui si trovano e la sirena diventa un trofeo di caccia preziosissimo. Il pescatore la libera dalle grinfie degli americani e a quel punto la sirena ritorna umana. Ma lo fa con dolore, sofferenza. Una mutazione sgradevole e puzzolente che lascerà nella donna un morso di malinconia per ciò che ha perso nonostante sia felice della sua rinascita umana. Ma la maledizione ha ancora fame e dopo qualche mese di vita terrena, la donna sarà costretta a tornare tra le onde. La morte dell’amore tra il pescatore e la donna sarà un sacrificio necessario per il bene collettivo perché la presenza stessa della sirena sulla terra cambia le dinamiche del villaggio, insegna al pescatore com’è fatto un uomo e ricorda agli umani che la natura selvaggia non si può possedere.
La sirena capisce che la morte dell’amore per il suo corpo umano la porterà a compiere il suo destino e vivere libera. La maledizione l’ha liberata anziché imprigionarla. 
Il cambiamento implica l’abbandono di ciò che si conosce. Quante volte l’abbiamo sentita dire questa frase? Ma quanto però siamo davvero disposti a mettere in discussione le fondamenta sulla quale abbiamo costruito le nostre credenze o i nostri valori? 
Aykaya inizia a ritrasformarsi in sirena solo dopo che il pescatore le ha chiesto di sposarlo e solo dopo che lei ha iniziato a mettere in discussione ciò che era e ciò che credeva di volere. A quel punto messe a fuoco delle nuove idee la metamorfosi ha cominciato a ripresentarsi. 

Lo spettacolo metteva in scena la morte dell’amore come oggetto statico e individuale per qualcosa di più alto e universale, esattamente quello che il sistema naturale chiede ai suoi abitanti. 
So da tempo che la legge del bosco, o quello della natura in generale vuole che quando entri in un sistema che non è il tuo devi lasciare qualcosa prima di prendere ciò che ti serve. Gli scambi che avvengono tra mondo animale e mondo vegetale sono innumerevoli e proprio questi scambi giocano il proseguimento e il mantenimento di un habitat sano.
Questo vale sia dal punto di vista fisico che da quello simbolico.
Noi riusciamo a farlo molto bene con le influenze culturali, ma quanto siamo disposti ad ammetterlo?
Il flamenco stesso fonda le sue origini tra le ballate del popolo gitano che, poiché analfabeta, aveva una cultura di tipo orale e le sue canzoni venivano tramandate di generazione in generazione grazie all’esecuzione dal vivo all’interno delle comunità sociali. Si deve a questi popoli lo sviluppo di quest’arte e la forza espressiva che la contraddistingue. Questa disciplina che presto è diventata il simbolo della Spagna, non è l’unica danza popolare influenzata dalla cultura artistica gitana, anche la danza egiziana e indiana e le più recenti American Tribal style e Tribal fusion portano influenze della stessa radice. 

Come si diceva nello scorso numero di Polline, facciamo tutti parte dello stesso arazzo.

Buon mese del Pride a tutti. 


Il Fiore di Loto è un simbolo di trasformazione.

È un fiore dalla raffinata eleganza ed estrema bellezza e nonostante viva con le radici affondate nel fango rimane sempre immacolato, diviene così il simbolo di coloro che nonostante le difficoltà dell’esistenza rimangono puri d’animo.
Lo troviamo in diverse culture e religioni e nello yoga gli chakra sono rappresentati  con dei fiori di loto chiusi, semichiusi o aperti con differenti numeri di petali e per questo motivo a volte sono anche chiamati Padma, che significa appunto “loto“. I petali di questi fiori rappresentano le Nadi, ovvero i canali energetici attraverso cui i chakra possono ricevere e distribuire energia, per poi trasferirla agli organi e agli apparati del corpo associati al chakra stesso. Ognuno di questi sette chakra ha un numero di petali, un nome, un colore, un elemento, un suono, una vibrazione, un’area specifica della colonna vertebrale e un conseguente focus su una parte del corpo.

Sara Stefanini

Illustratrice e graphic designer

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