La Montagna

Albrecht Dürer, Il castello di Arco, 1495, acquerello su carta, cm 22×22, Museo del Louvre, Parigi

Albrecht Dürer, Il castello di Arco, 1495, acquerello su carta, cm 22×22, Museo del Louvre, Parigi

Raymond Depardon Bianchi psychiatric hospital, Naples, Campania region. Italy. 1980. © Raymond Depardon | Magnum Photos

Raymond Depardon Bianchi psychiatric hospital, Naples, Campania region. Italy. 1980. © Raymond Depardon | Magnum Photos

Harald Sohlberg, Notte d’inverno nelle montagne, 1914, olio su tela, cm 160×180, Museo nazionale, Oslo

Ghiacciaio Okjökull nel 1986 e nel 2019 - fonte NASA

Murale per il progetto murale Art For All In The World (agosto 2018, Skien, Norvegia) credit foto: Skien

UN PO’ DI COSE RANDOM

  1. Questo è un link dove potete vedere le montagne nella pittura, ritratte nel tempo da artisti diversi.

  2. Questo è un podcast che parla di Montagna terapia.

  3. Ansel Addams è un fotografo americano famoso per gli scatti alle montagne.

  4. Fosco Maraini è stato un importante scrittore, fotografo e etnologo italiano, noto per i suoi viaggi in Asia, in particolare in Giappone, Tibet e in altre regioni dell'Estremo Oriente, ma anche per il suo profondo legame con la montagna. Le montagne hanno avuto un ruolo centrale nella sua vita e nella sua opera, sia come tema fotografico che come spazio fisico e simbolico. La sua passione per le montagne è strettamente legata a vari aspetti della sua filosofia e della sua esperienza di vita.

  5. Terzani e l’ Himalaya indiano.

  6. Questo invece è “The Present” è un documentario premiato nel 2023 che racconta la storia di Dimitri Poffé, un viaggiatore francese di 34 anni lascia la sua nativa (Francia) per intraprendere un viaggio in bicicletta da Città del Messico a Ushuaia dopo essere risultato positivo alla malattia di Huntington. La malattia di Huntington è una rara malattia neurodegenerativa, ereditaria e incurabile.

  7. Corinne Weidmann è un'artista svizzera che nelle sue opere intreccia concetti astratti, teorici e filosofici con rappresentazioni visive di paesaggi.


INTERVISTA A DANIELA TIENI E GAIA CAIRO

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INTERVISTA A DANIELA TIENI E GAIA CAIRO 〰️

@Daniela Tieni, Studio montagna 1

@Daniela Tieni, Studio montagna 2

@Daniela Tieni, Montagna e inverno

@Daniela Tieni, Montagna verso sera

@Gaia Cairo

@Gaia Cairo

@Gaia Cairo

@Gaia Cairo

@Gaia Cairo

Occupano come immense donne la sera:
Sul petto raccolte le mani di pietra
fissan sbocchi di strade, tacendo
l’infinita speranza di un ritorno.
— Antonia Pozzi, Le montagne.

Inizia così il romanzo di Marta Aidala “la strangera” dove Beatrice, una ragazza di città decide di lasciare gli studi, la famiglia e gli amici e trasferirsi a lavorare in un rifugio in montagna.
Non si sa il motivo perché Beatrice voglia isolarsi in altura per servire in un rifugio capitanato dal Barba, un uomo rude e burbero che detiene però la sapienza dei monti. Non si sa neppure cosa stia cercando Beatrice, se quella di salire in montagna sia un fuga dal mondo, da se stessa oppure il semplice amore per l’altezza, un richiamo del corpo alla fatica. C’è una spinta interna però che ci porta a pensare che dalla montagna possano arrivare chissà quali risposte sul senso della vita e sul cammino che stiamo facendo.

Il libro è lento e silenzioso come una camminata in montagna, si osserva da stranieri una terra che si desidera ardentemente conoscere come casa propria. Si sfiora l’amore con le mani callose di chi cura le bestie nei pascoli, ci si arrampica con gambe forti tra le pieghe di questa storia dove non succede niente di spettacolare se non la vita stessa. Mi ha ricordato vagamente “Stoner” di Edward Williams, dove la vita ordinaria di un professore universitario ci mostra come il narrare sia più interessante del soggetto narrato. 

Stare a contatto con la natura, toccare la terra, sentirne il profumo, risveglia una parte antica del nostro essere, capace secondo me, di addolcire la tristezza o quanto meno, portare conforto e risposte laddove è necessario. La stessa funzione che ha il bicchiere d’acqua quando si piange, o il respiro profondo per fermare la paura. Mettere un piede davanti all’altro, verso un’altezza o in piano mostra al copro che tutto in vita si può superare con le proprie forze. Il camminare dunque sia come atto fisico che come atto simbolico può essere uno spunto narrativo perfetto per decodificare le storie delle persone che incontriamo
e anche la nostra. 

La montagna terapia è un approccio terapeutico che utilizza proprio la metafora del camminare per promuovere il benessere psicologico, sociale e fisico, soprattutto per persone con difficoltà psicologiche, psichiatriche o sociali. Il CAI mette a disposizione dei corsi per portare gruppi in montagna  con questo scopo. 

Questo metodo è radicato sull’idea di una relazione profonda tra essere umano e ambiente naturale e si rifà, in parte, agli ideali di Franco Basaglia, il noto psichiatra italiano che promosse una rivoluzione nell'approccio alla salute mentale, battendosi contro l'idea di "malato di mente” come individuo da escludere e rinchiudere. La sua riforma culminò nella Legge 180/1978, che portò alla chiusura dei manicomi in Italia e alla creazione di servizi di salute mentale territoriali promuovendo la liberazione dal concetto di istituzione totale e sottolineando che il contesto di isolamento non faceva che perpetuare la malattia mentre l'ambiente, la comunità e le esperienze vissute fossero fondamentali per la ripresa. Consiglio di recuperare la serie fotografica San Clemente (1977-1981) e l’omonimo film (1982) di Raymond Depardon che testimonia in modo straziante e magistrale cosa erano questi istituti prima della legge Basaglia. 

La montagna terapia si inserisce in questa visione, poiché utilizza l’ambiente naturale come luogo di libertà, confronto e crescita personale. In montagna, l’individuo si confronta con la fisicità per ritrovare fiducia nelle proprie capacità superando limiti personali, affina la collaborazione con il gruppo, imparando il supporto reciproco e la socializzazione, tutti aspetti che Basaglia riteneva fondamentali per il reinserimento delle persone.

La montagna, con il suo contesto aperto e privo di barriere fisiche o simboliche, rappresenta l’antitesi dell’istituzione chiusa. In questo spazio, le gerarchie si dissolvono e le persone hanno l’opportunità di esprimersi liberamente. 

In Un indovino mi disse, Terzani scrive: "Il silenzio, se lo lasci fare, ti parla, e in quel parlare ti aiuta a capire chi sei."
La salita verso una vetta può sembrare un’impresa esteriore, ma è in realtà affare del di dentro. Attraverso il confronto con la fatica, l’altitudine che taglia il respiro, si impara a stare in silenzio osservando dentro di sé per capire i movimento dell’anima. Raggiungere una cima non è solo vedere il panorama o completare un obiettivo ma scoprire chi si è diventati lungo
il cammino.

Sarebbe sciocco però pensare alla montagna solo come luogo di pace. Per me detiene la stessa regalità e forza dell’oceano, la stessa imprevedibilità. Maestosa e implacabile. In altitudine l’inverno non finisce mai, il bianco del ghiaccio resta inciso sulle rocce. Devi sapere cosa stai facendo, dove stai andando. Devi conoscere i venti, il tempo, capire lo stato della neve ed essere attrezzato adeguatamente. La fame di vetta si placa a volte solo con l’adrenalina e si paga con il pericolo. Nel libro “la strangera” la morte in vetta viene affrontata in lontananza, come un eco riecheggia impetuosa nella protagonista che non accetta possano succedere tali atrocità a casa sua. La montagna la osserva tagliente dalla finestra e la obbliga a restare in quel dolore intrappolandola nel rifugio con l’arrivo della neve.

Come per l’oceano il cambiamento climatico influenza di molto l’ambiente montano. Non solo nell’aspetto ma anche nella pericolosità. La neve tarda ad arrivare e quando cade lo fa tutta insieme, resta instabile e troppo bagnata aumentando il pericolo di valanga. I ghiacciai si ritirano, e questo è un danno enorme per tutti, oceani compresi. 

Determinare con precisione il numero totale di ghiacciai nel mondo è molto difficile a causa della loro variabilità naturale e alla complessità delle tecnologie utilizzate per monitorarli. Tuttavia, le stime più recenti indicano che esistono circa 215.000 ghiacciai a livello globale, principalmente distribuiti nelle regioni polari, montuose e ad alta quota. Un dato incontrovertibile è che circa il 99% dei ghiacciai sta attualmente subendo una significativa perdita di massa. Un esempio emblematico di questo fenomeno è rappresentato dal ghiacciaio islandese Okjökull, che è stato ufficialmente dichiarato "morto" nel 2014.
Nel libro Il tempo dell'acqua, Andri Snær Magnason racconta il "funerale" di Okjökull, un evento simbolico volto a commemorare la sua scomparsa. Durante la cerimonia, è stata letta una lettera dedicata al ghiacciaio, che chiedeva scusa alle generazioni future per i danni provocati dal riscaldamento globale, e sottolineava come la morte di Okjökull fosse solo uno dei tanti esempi di ghiacciai che stanno scomparendo in tutto il mondo.

Magnason è uno scrittore di origine islandese, e nel suo libro intreccia la storia della sua famiglia a temi di mitologia, scienza e cambiamenti climatici per raccontare l'urgenza della crisi ambientale. Magnason paragona i ghiacciai alla mucca sacra della cultura induista, stabilendo un ponte tra le mitologie nordiche e quelle indiane induiste evidenziando il valore sacro che la natura ha nelle diverse tradizioni culturali.

Nella mitologia norrena, Ymir è il primo gigante, nato dal ghiaccio di Niflheim e il calore di Muspelheim nel vuoto primordiale del Ginnungagap
Il ghiaccio simboleggia la culla della vita nelle leggende norrene ed è l’elemento primordiale che plasma il mondo e ne conserva la memoria. 
Dallo stesso vuoto nasce Auðumbla, la mucca cosmica che svolge due importanti compiti, nutrire Ymir con il suo latte e liberare Búri dal ghiaccio salato in cui era intrappolato. Da Búri discesero Odino il primo Dio norreno e i suoi 2 fratelli che uccisero Ymir dal quale corpo si formò la terra. 
Nel contesto induista la mucca è vista come una manifestazione fisica di Prithvi, la Madre Terra, che nutre e sostiene tutti gli esseri viventi. Per questo motivo, proteggerla è considerato un dovere morale. 

La mucca è sacra nell’induismo perché rappresenta la vita, la generosità e il sostentamento per l'umanità, poiché fornisce latte, cibo e altre risorse senza chiedere nulla in cambio. Allo stesso modo, dice Magnason, i ghiacciai, sono fonti vitali per la terra, immagazzinano e forniscono acqua dolce che rilasciano in fiumi bianchi ( come il latte) essenziali per la vita umana e naturale. La morte di un ghiacciaio, quindi, non è solo la scomparsa di un blocco di ghiaccio, ma anche la perdita di una fonte vitale.

Tutto questo fa della montagna un luogo sacro e come dei pellegrini, un passo dietro l’altro, lenti o veloci camminiamo in silenzio osservando il paesaggio estasiati, bruciati dal sole o morsi dal freddo, per tessere la narrazione delle nostre storie, ricordare un’amico, raggiungere un’obiettivo o fermare il mondo lasciando un segno nei libri di vetta. Io però sono un’illustratrice dunque non posso che finire questa camminata con voi mostrandovi il lavoro di altre due illustratrici con le quali ho avuto il piacere di chiacchierare di montagne vere e immaginarie, luoghi ameni dove riposare o cercare ispirazione. 


Per Daniela Tieni e Gaia Cairo, la montagna assume colori e suoni distinti.
Daniela percepisce la montagna osservandola da lontano, come un panorama che stimola la sua immaginazione, mentre Gaia, vivendo immersa in questo paesaggio, la esplora da vicino, cogliendone ogni dettaglio e ogni sfumatura. Entrambe trovano ispirazione in questo ambiente, ma la loro esperienza pittorica è diversa: una lavora dalla distanza,
l’altra si confronta con la montagna quotidianamente. Questi due approcci, lontano e vicino, offrono visioni contrastanti e complementari di questo luogo che ha ispirato poeti
e artisti di ogni epoca. 

Ho avuto la fortuna di poterle intervistare entrambe e portarvi con me ad esplorare i loro disegni.


Ciao Daniela!
Benvenuta a Talea. Grazie per essere venuta a passeggio nel bosco con noi

1- Per chi non ti conosce, ti va di parlarci un poco di te? 
Ciao Sara, sono felice di essere qui da Talea. Mi chiamo Daniela, ho studiato Scenografia a Roma e ho seguito successivamente un master in Artiterapie. Dopo gli studi ho iniziato a capire in modo un po’ più chiaro cosa desideravo fare nella mia vita e ora disegno e dipingo; collaboro con editori, agenzie, clienti italiani ed esteri. Da qualche anno porto avanti Iriblum parallelamente al mio lavoro, un progetto dedicato alla realizzazione di gioielli artigianali con l’utilizzo di carte pregiate e tecniche di ricamo.

2- Ti piace andare in montagna? Hai mai fatto delle camminate in altitudine?
Ho fatto una lunga camminata in montagna una sola volta, in un posto bellissimo sulle Dolomiti. Ma non è un luogo che frequento, né il posto dove mi viene naturale immaginarmi.

3- Tu sei nata a Roma, una città di immensa bellezza, caos e persone. Da qualche anno però hai lasciato il centro per trasferiti in un posto più appartato nelle campagne romane. Come hai vissuto questo cambio di visuale, e quanto questo ha influenzato i tuoi soggetti?
Non è stato immediato trovarsi in una dimensione così silenziosa, non ero abituata ed è servito del tempo. Mi piace molto tornare alla frenesia cittadina perché Roma può sfiancarti e farti imprecare, ma la sua bellezza è un fatto e sarà sempre casa, per me. Al tempo stesso ora apprezzo enormemente i vantaggi di abitare in questo luogo; dalla mia finestra vedo un orizzonte e una panoramica su Roma, dall’alto. Sono successe tante cose in questi anni e più che il posto, direi che sono state le vicende personali ad aver portato il mio disegno da altre parti. 

4- Ci conosciamo da tanto tempo e conosco e ammiro molto il tuo lavoro. Ti ho chiesto di parlarmi di una serie di dipinti che hai fatto e che si distaccano dal mondo dell’illustrazione portandoti invece in quello della pittura. Questi paesaggi, mi hanno sempre affascinata molto. Sono materici, sensoriali e catapultano immediatamente lo spettatore in un luogo fantastico. A volte è la superficie lunare, altre il ghiaccio artico, spesso montagne. Mi hanno ricordato la forza pittorica di Miguel Barcelò e le fotografie dell’antartico di Stefano Unterthiner. Come sono nate le texture di paesaggi e Com’è entrata la montagna a far parte dei tuoi soggetti? 
Ho iniziato a dipingere queste texture in modo molto spontaneo, volevo semplicemente giocare con il colore. Poi ho visto qualcosa nelle pennellate, e in qualche modo i paesaggi sono arrivati da soli senza averli cercati.

5- Che tecnica usi per questa ricerca pittorica?
Acrilici e inchiostri, principalmente. Non decido nulla prima, non uno studio, uno schizzo. Nulla. Procedo per accostamenti e stratificazioni; provo a togliere l’eccesso di colore con carte diverse o ad aggiungere acqua con pennelli sghembi e vecchi. Sono piccoli formati, ma vorrei portare il progetto su tavole sempre più grandi. 

6- Questa tecnica la usi anche nelle tue illustrazioni? 
Spesso, sì. Mi piace restituire una superficie vibrante e un sapore pittorico anche quando lavoro in digitale e mi diverte molto usare e mescolare la pennellata fisica con quella ottenuta su uno schermo. Mi aiuta anche a vedere quante sono le possibilità di utilizzo di una singola texture.

7- Ho parlato di come la montagna si trasformi spesso in luogo di riflessioni e di scoperta di se stessi, tu non sei solita frequentare le altezze montane, ma nonostante questo la montagna compare spesso nei tuoi soggetti. Quanto è vera dunque questa affermazione per te in riferimento alla tua arte? 
Credo che sia vera per chi effettivamente vive questi luoghi, ed è facile immaginare il perché. Per quanto mi riguarda, invece, non è tanto il posto dove mi trovo, che certamente può fare la sua parte in alcuni momenti, ma più forte di tutto il resto è la pittura e il disegno stesso il veicolo che mi porta altrove, vicino o lontano da me, da quello che ho attorno. E questo è anche il motivo per cui faccio quello che faccio. Sono molto legata alla città, ma quando mi trovo accanto a qualche elemento naturale – albero, acqua, collina, onda, etc - sento una sorta di richiamo, un legame molto antico. Arriva come una scossa leggera lungo il corpo, la sento in modo molto chiaro e distinto e sono certa, sicura, che non si tratti solo di suggestione. Questa è una sensazione così tangibile che è la prova per me che siamo legati visceralmente alla terra e allo spazio anche quando ce ne dimentichiamo. Non frequento la montagna, ma con la mia mente viaggio moltissimo di notte e di giorno e penso a lei come a una presenza a cui portare rispetto, che ha visto cose che io non so, che è più resistente di me; più vicina al cielo, alla luce e al buio in un modo difficile da capire per l’essere umano. Esiste in un mondo dove noi, piccoli, ci affanniamo per cose che lei non considera. C’era prima della mia venuta al mondo e resterà dopo, e così torna sui miei fogli come una domanda, insieme alle altre, numerose, che si stratificano di giorno in giorno.

8- Quale luogo cerchi per trovare la pace e per restare da sola nei tuoi pensieri e quanto spesso è necessario andarci?
La mia natura è solitaria e il mio carattere mi porta a stare spesso in disparte. Ho la necessità di proteggere i miei spazi ogni giorno per poter essere libera. Qui nel mio studio sto bene.

9- Come scegli cosa disegnare e quanto la natura influenza il tuo lavoro?
La natura incide molto, perché ne facciamo parte. Scelgo di volta in volta un tema o semplicemente una forma che in quel momento per svariate ragioni mi interessa sviluppare.

10- Ci spieghi come nasce un tuo disegno?
Che tecnica ti piace usare e come fai ad elaborare un’idea? 
Uso soprattutto acrilici, brush pen, inchiostri su carta di varie grammature o su acetati. Spesso dipingo anche in digitale, come dicevo prima. Il disegno nasce da qualche tratteggio fino a quando una figura appare sul foglio. A volte le immagini arrivano velocemente, altre hanno bisogno di giorni per maturare. 

11- Quale soggetto ti piacerebbe illustrare?
Difficile dirlo, le idee nascono, si modificano, cambiano. Certe volte sostano e rimangono, altre scivolano via. In questo periodo sto impostando dei lavori sul tema del tempo.

12- Prima di salutarti, hai dei libri o dei film da consigliarci che parlano di montagna, o altro che ti ha toccato e ispirato in particolar modo? 
Ultimamente mi è capitato di vedere in mostre o collezioni diverse il lavoro di Leoncillo Leonardi, che mi attrae puntualmente come una calamita. Non ho consigli riguardo la montagna in maniera diretta, ma potreste ritrovare nelle sculture del periodo informale di Leoncillo, bellissime e dolenti, qualcosa che richiama gli elementi naturali e le pareti dei monti: nelle sue opere la ceramica è una materia possente e vivissima che come un masso cresce e si accumula.


Ciao Gaia!
Benvenuta a Talea. Grazie per essere venuta a passeggio nel bosco con noi

1- Per chi non ti conosce, ti va di parlarci un poco di te? 
Mi chiamo Gaia, classe ’92, nata in Brianza, ma da sempre consapevole di avere le radici ovunque e da nessuna parte. Uno zaino in spalla o una bici con borse e tenda sono gli accessori indispensabili per la mia vita felice. Mi seguono spesso anche quadernetti, pennellini e acquerelli, perchè sono un’illustratrice freelance con un master in comunicazione per fauna ambiente e paesaggio: flora e fauna e in generale natura, sono perciò le tematiche che più ricorrono nei miei disegni. Vivo nelle Alpi, ma disegno tanto mare, perchè per anni ho vissuto attorno e sull’acqua salata. Sono stata istruttrice subacquea e le forme, le geometrie, i colori e le stranezze del mondo sottomarino sono rimaste le cose più in grado di affascinarmi e generare in me meraviglia.
Ho iniziato a collaborare come illustratrice scientifica in alcune ONG di tutela ambientale, ma ora mi sto specializzando soprattutto nell’illustrazione per l’editoria, per la progettazione museale (sempre in ambito naturalistico) e nel design (illustrazioni per ceramiche, tessuti, carte da parati).

2- Hai viaggiato moltissimo in posti anche molto lontani. Il viaggio, il camminare, sono movimenti strettamente connessi al tuo lavoro di illustratrice, mentre quest’anno so che ti sei trasferita in alta montagna, come mai hai deciso di “fermarti” in quota? 
Come dicevo nella piccola presentazione di me, il viaggio, il camminare e il pedalare sono assolutamente ingredienti indispensabili e strettamente connessi al mio essere umano, prima ancora che al mio lavoro. Mi servono per stare bene, per stare in equilibrio e di conseguenza servono anche al mio lavoro. Le mie camminate e i miei viaggi sono inesauribile fonte di ispirazione, ma sono anche necessari per mantenere lo stimolo in una vita che altrimenti prevede tante, troppe ore, davanti a un computer o a un foglio bianco.
Per quanto riguarda la scelta della montagna, credo sia stato una graduale presa di coscienza del fatto che qui risieda tanto della mia personalità. Durante i miei viaggi e spostamenti mi sono spesso trovata a vivere in luoghi isolati o caratterizzati da piccole comunità: dalle minuscole isole del Mediterraneo, ai piccoli borghi di campagna, ai paesini di montagna. Credo che queste realtà, per quanto opposte, siano in verità molto simili: la comunità ha una forte identità, le condizioni più complicate stimolano un maggiore senso di solidarietà e appartenenza e la natura ha una forte influenza sulla vita quotidiana. 
E in più ci sono il silenzio e la lentezza, concetti che nella vita di città e di pianura, si trasformano in un lusso inaccessibile.
Mi sono dilungata, ma è per dire che ho capito quanto i microcosmi siano la mia dimensione ideale. Il mare è per me una realtà principalmente contemplativa e inesauribile fonte di ispirazione per il disegno. La montagna è invece la realtà adatta alla mia dimensione umana e di vita: è faticosa, è fisica, ma c’è anche tanta pace. E poi, sono cresciuta praticando agonismo in diversi sport di montagna, quindi credo che il corpo qui si senta a casa.

3- ho parlato di come la montagna si trasformi spesso in luogo di riflessioni e di scoperta di se stessi,
che ruolo ha la montagna per la tua vita?
Per riprendere la risposta precedente, la montagna si è trasformata in un luogo del “benessere”.
Ho iniziato anche a lavorare in rifugi d’alta quota, sopra i 2500 metri e quella dimensione così aspra, essenziale, fatta di forti legami con le persone e una stretta connessione con la natura e le sue regole, è per me una dimensione di pace, nonostante le difficoltà. I paesaggi montani hanno la capacità di calmarmi e la fatica che amo fare sui sentieri o sulle vie, ha la capacità di portare silenzio fra i miei pensieri, che sono sempre troppi e troppo rumorosi. Ovviamente non sto cercando di dipingere la visione salvifica e bucolica che spesso viene fatta di questo ambiente, perchè rischia di diventare fuorviante e ammantare un luogo di aspettative irreali. Il pregio però della montagna è che essendo semplice e complicata allo stesso tempo, ti costringe a portare con te solo l’essenziale. E ad avere a che fare con la parte essenziale di te, nel bene e nel male. Lontani dalle città e dal rumore che distrae, qui capita più frequentemente di doversi trovare faccia a faccia con noi stessi. Ripeto, nel bene e nel male. Il silenzio e la solitudine possono essere utili, ma possono anche essere brutti compagni di viaggio. Bisogna imparare a convivere anche con loro. Ma alla fine dei conti, trovo un pregio anche in questa durezza, perchè comprendi quanto le relazioni abbiamo un valore profondo e prezioso. E quanto la vita a contatto con la natura, risponda molto di più ai nostri bisogni primari ed essenziali.

4- e per la tua arte?
Per la mia arte, la risposta è un po’ complicata e forse non proprio piacevole. L’apporto positivo della montagna sicuramente si può rintracciare nella serenità generale che riesce a darmi questo ambiente. Sento di aver trovato qui la mia forma e questo nutre una maggiore libertà di espressione. 
Ma se devo essere sincera, noto anche un opposto lato della medaglia: alle volte diventa molto più difficile essere produttiva qui, rispetto a quando abito in posti per nulla amati. La mia vita felice trova sfogo principalmente all’aria aperta: qui in montagna vorrei passare quasi tutta la giornata nella pineta, fra le cime, nei lavori fisici che i monti richiedono o a cercare le minuscole meraviglie che si nascondono nel sottobosco… L’illustrazione mi tiene lontana da tutto ciò e stare alla scrivania per disegnare si trasforma in una realtà frustrante. Mentre nei luoghi poco amati, poco è lo stimolo a uscire e maggiore è il bisogno di cercare una distrazione e uno sfogo tramite il disegno.
Quindi, la vita in montagna produce risultati opposti rispetto alla mia arte, ma sarà un lavoro e un esperimento riuscire a trovare un equilibrio anche in questo, magari portando la parte creativa e di disegno anche e più spesso in natura.

5- Ho incontrato il tuo lavoro, mentre facevo una ricerca sul mare e stavo collezionando immagini marine per un mio progetto. Sono rimasta molto affascinata dalla minuzia e dall’accuratezza dei tuoi pesci, delle seppie. Le balene giganti intagliate nel legno mi hanno colpita moltissimo. I tuoi soggetti sono per lo più marini, il tuo pseudonimo su Instagram rimanda ad un mondo acqueo. Questi ultimi mesi vissuti in alta montagna, quanto hanno cambiato i tuoi soggetti? e i tuoi pensieri?
Il mondo marino ha sempre esercitato un fascino su di me e sulla mia immaginazione. Credo sia stregata dalla diversità e varietà del mondo sommerso, nel quale le forme di vita sembrano uscite da un universo alieno. Gli anni di subacquea hanno sicuramente nutrito e alimentato questa passione e fascinazione, rendendoli tuttora i soggetti preferiti per i miei disegni. Ma ho compreso che la parte per me meravigliosa è l’inaspettata complessità e varietà…e i mesi passati qui in montagna mi stanno insegnando a portare lo stesso sguardo anche qui. Ho iniziato a dedicarmi molto anche all’illustrazione botanica, perchè l’ecosistema dei prati e delle erbe alpine, è un vero e proprio universo a parte. Le piante qui hanno forme incredibili e architetture inaspettate e la varietà di specie presenti in un semplice prato, è impressionante. Inoltre ho scoperto quanto sia facile trovare il mare in montagna. I funghi, i muschi, i licheni, spesso hanno strutture simili alle formazioni di alghe, spugne ed altri esseri viventi del mare. E’ affascinante vedere come certe forme di vita primordiali si siano sviluppate con soluzioni formali così simili sulla terra e sott’acqua.

6- Come scegli cosa disegnare e quanto la natura influenza il tuo lavoro?
La natura è totalmente al centro della mia produzione. Di recente ho iniziato a farmi tante domande, cercando di fare ordine fra i miei pensieri e mi sono interrogata anche su quale fosse il senso della mia produzione artistica. Sì, perchè per me questa attività spesso non è piacevole: a me non piace disegnare, non mi rilassa, frequentemente mi mette di malumore. Ma credo di aver compreso che sia più assimilabile a un’ossessione piuttosto che a una passione. Disegno tanta natura perchè mi sembra che con il disegno io possa ricostruire un alfabeto figurato dell’intero universo. E’ come se dovessi ridisegnare ogni elemento della natura a modo mio: lo devo studiare, lo devo scomporre e lo devo ricomporre poi secondo le mie logiche. E’ una pratica simile a quella che metto in atto quando studio: fin dalla scuola, ho sempre avuto bisogno di fare mille schemi, perchè è un modo per rendere i concetti più “visuali” e soprattutto per riorganizzarli secondo il mio ordine e la mia logica. Penso che per me il disegno sia diventato (o sia sempre stato) questo: è il mio schema del mondo. La natura è quindi il soggetto principale, perchè tutta la mia ricerca è orientata a costruire un atlante personalissimo di questo pianeta. 

7- Fai degli scatti meravigliosi, per chi ti segue sui social come me sa di cosa parlo, li usi mai per i tuoi disegni?
Li uso tantissimo. Ma anche qui, mi sono accorta che non li uso per il soggetto fotografato in sé; tendo sempre a estrapolare un determinato aspetto che mi ha colpito di quella foto e a traslarlo in un contesto differente. Per spiegarmi meglio: se fotografo un lichene, spesso non è per disegnare un lichene, ma è perchè mi stupisce qualcosa della sua struttura, che poi magari uso per costruire un soggetto totalmente diverso. Tante foto le scatto perchè sono colpita dalle texture e dai meravigliosi abbinamenti cromatici che si possono rilevare in natura e anche questi aspetti “grafici” possono diventare spunti utilissimi da traslare nel disegno.

8- Quale luogo cerchi per trovare la pace e per restare da sola nei tuoi pensieri e quanto spesso è necessario andarci?
La pineta e il fiume sono i due luoghi nei quali preferisco andare per rilassarmi o per staccare. La pineta è affascinante perchè è un ambiente ricchissimo di vita e di micro meraviglie e c’è un silenzio strano, che si sente solo nella pineta; tutto è ovattato e si può percepire lo scricchiolio degli alberi che si muovono e che si sfiorano. Il fiume, invece, credo eserciti il fascino che in generale l’acqua sa esercitare su di me. Dal mare, al lago, al fiume, l’acqua mi attrae e il fatto di vedere quel movimento continuo forse mi calma un po’; mi ricorda di quanto quasi tutto possa essere passeggero. Cerco di andare in almeno uno di questi luoghi una volta al giorno, spesso la mattina all’alba prima di cominciare a lavorare o di sera.

9-I tuoi disegni sono molto elaborati, i tratti minuscoli che compongono le texture sono innumerevoli e precisissimi, è una sorta di meditazione? E usi una lente d’ingrandimento? 
Sì, i dettagli minuscoli sono la mia passione. Mi piacciono le cose molto piccole, che si svelano solo quando si dedica del tempo e si cambia il punto di vista: amo le textures per questo motivo, bisogna avvicinarsi per scoprire un intero mondo sulla superficie di un elemento. I miei piccoli tratti e dettagli rispondono un po’ a questa inclinazione e alla mia tendenza all’horror vacui. Mi sembra di arricchire il disegno, ma spesso ho difficoltà a fermarmi, perchè la ripetizione del gesto mi permette di procedere senza pensieri e alle volte è in grado di silenziare quel già citato “rumore” della mia testa, trasformandosi sì, in una sorta di meditazione.

10- Quale soggetto ti piacerebbe illustrare? 
Sono attratta dai piccoli sconosciuti e dimenticati. Mi piacciono quegli elementi della natura che sono poco noti o spesso ignorati perchè considerati poco interessanti. In realtà, avvicinandosi a sufficienza, ogni soggetto si carica di meraviglia. Ultimamente sono stata colpita dalla flora alpina, caratterizzata da architetture incredibili. O per tornare in ambito marino, anche tutto il mondo dei decapodi: gamberi, granchi, cicale di mare. Sono creature che popolano ancora poco l’immaginario figurato e che invece hanno un potenziale incredibile e una varietà di forme e colori impressionante.

11- Cosa porti a casa da questa esperienza in alta montagna?
Credo che questa esperienza mi stia davvero insegnando il concetto di “essenziale”. Anche la casa nella quale abito, è minuscola. Lo spazio nel quale ho vissuto al rifugio, era minuscolo. Le giornate in bivacco o con la tenda riducono la mia vita materiale a quello che può stare in uno zaino. Questa riduzione dello spazio concreto della propria vita materiale e l’aumento dello spazio della natura attorno a noi, riavvicina secondo me a ciò che ci rende umani e felici. Meno cose, significano meno distrazioni e più contatto con la vita reale. Questo è sicuramente una lezione, alle volte frustrante, ma che porterò sempre con me. E credo che questa vita un po’ più isolata e complicata, abbia evidenziato e dato valore alle cose davvero importanti per stare bene: le relazioni con le persone. Avere periodi di silenzio e solitudine, fa davvero comprendere quanto sia importante la rete sociale che creiamo intorno a noi e quanto sia importante costruire un tempo di qualità.

12- Prima di salutarti, hai dei libri o dei film da consigliarci che parlano di montagna? O di altro che ti ha toccato  e ispirato in particolare modo?
Allora, sicuramente ce ne sono anche altri, ma i primi due libri che mi vengono in mente, sono: 
Vita con gli orsi” di Beth Day e  “L’anno della lepre” di Arto Paasilinna.
Il primo, Vita con gli orsi, è un piccolo libretto trovato per puro caso nella libreria di famiglia: si tratta della storia reale di due coniugi che si sono trasferiti nella prima metà del Novecento nel grande Nord, in Canada. Il racconto è leggero e ironica e mostra una vita semplice, a strettissimo contatto con la natura, nel bene e nel male. Non c’è quindi la narrazione eroica né tantomeno quella bucolica. E’ un racconto schietto di una vita che adesso ci sembra impossibile, ma che avveniva “solo” cento anni fa.
Il secondo, “L’anno della lepre”, è un classico della letteratura finlandese. Anche qui il registro è leggero, ma attraverso questa narrazione piacevole si scopre un’avventura nata da una scelta che tanti di noi vorrebbero prendere. 


Grazie infinite ad entrambe per averci aperto la porta del vostro studio.

Se volete invece approfondire le loro immagini potete trovarle qui:

Daniela Tieni:
Iriblum - Daniela Tieni

Gaia Cairo:
Photo Illustrazioni Mostra

Sara Stefanini

Illustratrice e graphic designer

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La grammatica del desiderio